La psicologia a tavola

Martedì 29 Gennaio 2013 presso la sala Betania della Parrocchia Sacro Cuore a Monza si è tenuta la seconda serata del ciclo di incontri “Le serate di psicoINFORMAZIONE”, organizzate dagli psicologi del progetto Spazio Psy. Queste serate sono una delle iniziative che vengono promosse da Spazio Psy che ha, tra i suoi obiettivi, quello di favorire lo sviluppo di una cultura del benessere psico-fisico delle persone: per gli psicologi di Spazio Psy il primo passo per sostenere e far crescere la cultura dello “stare bene” con la mente e con il corpo è proprio quello di informare e creare degli spazi e dei luoghi dove potersi confrontare e poter riflettere.

Il secondo incontro, dal titolo “La psicologia a tavola”, condotto dalla dr.ssa Elisa Spini, è stato dedicato al tema delle abitudini alimentari, del rapporto con il cibo e delle diete dimagranti. E’ senz’altro vero che mangiare è qualcosa che facciamo tutti e che, come ogni comportamento umano, ha un’utilità, una funzione e un valore. Siamo tutti d’accordo che la prima funzione dell’alimentazione è proprio quella di garantire il nutrimento necessario al nostro organismo per vivere. Ma pur avendo questa funzione comune a tutti, l’approccio al cibo varia enormemente da persona a persona, dalla società in cui si è inseriti e dall’epoca in cui si vive. Anche l’alimentazione di un singolo individuo cambia durante il corso della vita, rispondendo alle esigenze dell’età e delle situazioni che ci si trova ad affrontare.

E’ facile comprendere così che sono molti i fattori che influenzano le nostre abitudini alimentari e non c’è una risposta univoca alla domanda “Perché mangiamo?”.  Infatti non si mangia solo per soddisfare il nostro senso di fame e per nutrirci, ma ci sono molte funzioni e valori che attribuiamo all’alimentazione.

Per alcuni le abitudini alimentari rappresentano una vera e propria scelta di vita attraverso la quale viene determinato profondamente il proprio senso di identità. Pensiamo, per esempio, a chi sceglie di essere vegetariano o vegano: con questa scelta non vengono solo banalmente selezionati dei cibi con cui alimentarsi, ma la persona manifesta l’adesione a un certo tipo di valore attraverso il quale mostra agli altri il proprio modo di essere e di pensare.
Tramite il cibo inoltre vengono condivise e trasmesse delle regole sociali ed etiche, che guidano le persone nelle loro scelte: per fare solo un esempio tra i molti, la religione musulmana chiede ai propri fedeli di astenersi dall’assunzione di carne di maiale. La religione cristiana invece ha classificato il mangiare in eccesso tra i sette vizi capitali con il nome di gola.
Il momento dei pasti rappresenta inoltre un importante segno di vicinanza, di condivisione e appartenenza a un gruppo sociale: attorno alle tavole imbandite celebriamo occasioni di festa e condividiamo anche momenti di dolore e sofferenza. Così un banchetto di matrimonio, una cena al lume di candela, un pranzo in famiglia o una colazione di lavoro assumono significati sociali e relazionali molto più complessi del semplice soddisfacimento dell’istinto biologico a mangiare.
A volte il cibo viene usato anche come strumento relazionale per veicolare delle emozioni e dei sentimenti: mangiare o rifiutarsi di mangiare può essere anche un modo per comunicare e manifestare emozioni positive o negative. Pensiamo anche a ciò che può capitare quando, soprattutto con i bambini, il cibo viene utilizzato con una funzione di premio o di punizione: sarà capitato a tutti di sentire la frase “A letto senza cena!” o ancora “Sei stato così bravo che ti meriti una bella fetta di torta”.
A volte il cibo viene utilizzato come “anestetico emotivo”: dei grossi cucchiai di Nutella, una lasagna golosa o un bel giro al fastfood possono essere il modo per controllare e gestire le nostre emozioni. Spesso può capitare proprio di fare fatica a sentire e seguire il senso di fame, di appetito e di sazietà; questo può generare un po’ di confusione proprio di fronte a degli stati emotivi che vengono scambiati per fame o sazietà.

Tutto ciò per osservare come sia complesso e profondo il nostro rapporto con il cibo che non si limita esclusivamente a soddisfare un’esigenza biologica, ma che nasconde significati e funzioni molto complesse e che influenzano profondamente la nostra vita. Pensiamo come tutto ciò venga amplificato dal ruolo dei mass media che hanno contribuito a mettere al centro del nostro interesse il cibo e la cucina, protagonisti di programmi televisivi, giornali, libri e siti Internet.

Come per ogni comportamento umano, è importante prendersi cura di ogni sfaccettatura del proprio rapporto con il cibo, dall’esigenza biologica alle funzioni sociali e psicologiche. A volte questo rapporto con l’alimentazione diventa a tal punto difficile da arrivare a essere “malati di cibo”; è ciò che accade quando ci troviamo di fronte a patologie come l’anoressia, la bulimia e il binge eating disorder (disturbo da alimentazione incontrollata). Queste patologie vengono definite come disturbi del comportamento alimentare e rappresentano una delle manifestazioni più drammatiche della complessità del rapporto con il cibo per il genere umano.

Nella società del benessere, oltre a queste patologie, vi sono anche altri problemi quali il sovrappeso e l’obesità: infatti spesso si mangia troppo e lo si fa in modo inconsapevole. Capita che il cibo diventi centrale per le persone, che mangiano anche senza sentire appetito o in maniera eccessiva rispetto alle esigenze fisiche. Da qui il bisogno di mettersi a dieta, di dimagrire e di raggiungere il tanto sospirato peso-forma. E così compaiono diete per tutti i gusti: da quelle iperproteiche, alla dieta dei gruppi sanguigni, alla tradizionale dieta mediterranea, a volte accompagnati anche da integratori alimentari o altre sostanze che promettono effetti miracolosi. Ma attenzione alle soluzioni magiche! Infatti non esiste nulla, tranne la dieta e l’esercizio fisico, che sia in grado di produrre dimagrimento senza danneggiare la salute o produrre un importante squilibrio psicofisico.
Inoltre a volte scegliere di iniziare una dieta dimagrante, di proseguirla con costanza e di mantenerne i risultati nel tempo può non essere per nulla facileAnche se abbiamo scelto la migliore dieta dal punto di vista nutrizionale, quella più adatta a noi, se viene vissuta come un sacrificio e una rinuncia di qualcosa che ci piace, sarà molto difficile proseguire. Iniziare una dieta restrittiva significa prendere e mantenere la decisione di fare un cambiamento delle proprie abitudini alimentari ma anche sentire una forte motivazione e continuare ad alimentarla.

E’ necessario quindi essere consapevoli che può essere molto faticoso riuscire a stare in una dieta restrittiva e, in questi casi, può essere utile l’aiuto di uno psicologo: un percorso di psicologia dell’alimentazione, individuale o in gruppo, può aiutare ad acquisire maggiore consapevolezza delle proprie abitudini alimentari, facendo emergere il valore emozionale che attribuiamo al cibo, osservando il modo in cui ci nutriamo e rielaborandone i significati personali. Sarà possibile in questo modo uscire da un’ottica di dieta restrittiva e di rinuncia, per sperimentare un nuovo modo di mangiare, più sereno e consapevole.

Click sull’immagine per vedere la presentazione della serata:

 

Alcune letture consigliate:

  • Rossi P., Mangiare, ed. Il Mulino
  • Steinberg D., Dryden W., La psicologia della dieta, ed. Positive Press
  • F. Le Clercq, Tutto il pane del mondo. Cronaca di una vita fra anoressia e bulimia, ed. Bompiani